Rizwan Virk, imprenditore, autore e pioniere del pensiero sulla simulazione della realtà, racconta come un’esperienza di realtà virtuale ha cambiato per sempre il suo modo di vedere l’universo.
Come tutto è iniziato
Dopo aver venduto la mia ultima azienda di videogiochi nel 2016, circa 7-8 anni fa, ebbi un’esperienza che mi avrebbe portato a cambiare la mia visione del mondo. Indossai per la prima volta un visore per la realtà virtuale (VR) e iniziai a giocare a un semplice gioco di ping pong.
Nonostante i visori fossero ancora grandi e dotati di cavi ingombranti, il gioco era così realistico che il mio cervello per un attimo dimenticò di trovarsi in una simulazione. Cercai persino di appoggiare la racchetta su un tavolo inesistente, facendo cadere il controller e rischiando di perdere l’equilibrio.
La nascita del concetto di Simulation Point
Quell’episodio mi portò a una domanda fondamentale: quanto manca prima che l’umanità costruisca una realtà virtuale così realistica da essere indistinguibile dalla realtà fisica?
Da questa riflessione nacque il concetto di Simulation Point, una nuova forma di singolarità tecnologica.
Fisica quantistica, religioni e l’effetto osservatore
Iniziai a studiare argomenti come la fisica quantistica e l’effetto osservatore, scoprendo che molte religioni affermano concetti simili: il mondo fisico potrebbe non essere reale nel senso tradizionale.
Conclusi che potremmo vivere dentro una simulazione informatica, un gigantesco videogioco multiplayer creato da una civiltà avanzata.
Cos’è il Simulation Point
Il Simulation Point rappresenta il momento in cui possiamo creare simulazioni così realistiche da risultare indistinguibili dalla realtà fisica. Questo cambiamento rivoluzionerebbe radicalmente la nostra esistenza, proprio come previsto dalla teoria della singolarità tecnologica di Vernor Vinge.
Se già oggi sviluppiamo NPC intelligenti nei videogiochi, immaginate cosa potrebbe creare una civiltà con 200 o 1000 anni di vantaggio su di noi. È plausibile che simulazioni di questo tipo esistano già.
Viviamo già in una simulazione?
Le probabilità sono alte. Stimo un 70% di possibilità che raggiungeremo il Simulation Point, il che implica un 70% di probabilità che siamo già all’interno di una simulazione.
Se una civiltà avanzata ha creato molte simulazioni, e solo una è reale, allora statisticamente è più probabile che noi viviamo in una delle simulazioni.
Philip K. Dick e la realtà programmata
Philip K. Dick, famoso autore di fantascienza, propose idee simili. Durante una convention a Metz nel 1977, dichiarò:
“Stiamo vivendo in una realtà programmata da un computer e l’unico indizio che abbiamo è quando qualche variabile cambia e si verifica un’alterazione nella nostra realtà.”
Secondo Dick, la realtà potrebbe essere riavviata più volte, cambiando alcune variabili. Questo spiegherebbe fenomeni come il déjà vu e suggerirebbe che spazio e tempo siano solo costrutti simulativi renderizzati all’osservazione.
Il passato come costrutto della simulazione
Nel romanzo La svastica sul sole, Dick immaginò una timeline alternativa dove Germania e Giappone vinsero la Seconda Guerra Mondiale. Secondo lui, quella realtà era esistita davvero, ma poi la simulazione era stata riavviata, cambiando il corso degli eventi.
I ricordi di quella timeline sarebbero riaffiorati nella nostra coscienza come un’anamnesi, il recupero di memorie dimenticate.
Conclusioni
Se queste ipotesi sono corrette, dobbiamo chiederci: il passato è realmente come lo ricordiamo, oppure è solo un costrutto della simulazione nel presente?
Il Simulation Point ci offre una nuova chiave di lettura della realtà: non solo come spettatori, ma come protagonisti all’interno di un universo programmato.